Articolo pubblicato sul sito d’informazione “Il Velino”.
Il neo ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio ha affermato qualche giorno fa che ‘non esistono infrastrutture grandi o piccole, ma solo utili’. Non si potrebbe essere più d’accordo: il Paese ha trascorso anni a discutere delle sue infrastrutture in termini spesso ideologici e pregiudiziali (vedi, su tutte, la tormentata vicenda della Tav), senza una serie valutazione costi-benefici e un riferimento alle logiche dell’efficienza e dell’efficacia di ogni singola infrastruttura.
Per passare dal generale al particolare, al ministro Delrio ho allora segnalato, attraverso una interrogazione parlamentare, una piccola ma significativa vicenda che riguarda l’Aeroporto di Milano Malpensa. A poche settimane dall’inizio di Expo 2015, l’hub aeroportuale naturale del megaevento non è dotato di un terminal dedicato alla cosiddetta aviazione generale, cioè ai voli d’affari con cui viaggeranno (o viaggerebbero) grandi manager, imprenditori stranieri e turisti di lusso in visita all’Esposizione Universale. Vogliamo che questi, per visitare Expo, scelgano piuttosto il vicino aeroporto svizzero di Lugano?
A differenza di quanto accade altrove, infatti, a Malpensa i voli d’affari condividono un terminal con voli di linea, nello specifico il Terminal 2 occupato da importanti compagnie low cost; ciò ha determinato più di un inconveniente a passeggeri noti al grande pubblico, personaggi dello spettacolo o dello sport, spesso letteralmente assalita da curiosi e fan all’arrivo o alla partenza del proprio velivolo, ma anche a esponenti del business, le cui esigenze di velocità e riservatezza mal si conciliano con un terminal condiviso con le compagnie di linea.
Risultato? Su un totale di circa 700mila voli d’affari effettuati all’anno su suolo europeo, Milano Malpensa ne ha attratti appena 12mila nel 2014 (in calo del 13 per cento rispetto al 2013), rispetto ai circa 45mila di Milano Linate, e di fatto ne ha consegnati molti all’aeroporto di Lugano, dotato di strutture dedicate e capace di servire pressappoco lo stesso bacino d’utenza.
Il settore dell’aviazione d’affari – oggetto spesso di sospetto e retorica anti-ricchi – è un comparto ad altissimo valore aggiunto, che occupa nei paesi dell’Unione Europea circa 164mila addetti, generando un fatturato di oltre 20 miliardi di euro (pari a poco meno dello 0,2% del Pil combinato di UE, Norvegia e Svizzera) e salari per circa 5,7 miliardi, senza considerare l’indotto del settore.
L’inadeguatezza di Malpensa comporta per l’Italia un notevole ritardo nel settore rispetto ai principali paesi vicini: con appena il 9 per cento circa delle partenze (dati EuroControl) l’Italia è molto dietro la Germania (14 per cento), il Regno Unito (13 per cento) e la Francia (17 per cento), ed è di poco sopra la Svizzera (poco meno del 7 per cento).
Come dimostra il caso di eccellenza dell’aeroporto tedesco di Francoforte Egelsbach, scalo dedicato all’aviazione generale, il settore dei voli d’affari è capace di generare valore, ricchezza e un’economia specifica, contribuendo a creare intorno a sé un vero e proprio hub finanziario e commerciale; per l’economia della provincia di Varese, in particolare, l’apertura di un terminal dedicato ai voli d’affari rappresenterebbe un settore di svolta per l’economia, con effetti benefici stimabili intorno tra l’1 e il 2 per cento del Pil locale.
Eppure, basterebbe così poco. Come costantemente segnalano gli operatori dei servizi a terra (le cosiddette società di handling, molto interessate al settore dei voli d’affari), nell’aeroporto di Malpensa la società pubblica Sea – Aeroporti di Milano ha la piena disponibilità del terminal cosiddetto ‘ex GS Aviation’, oggi chiuso ma eventualmente adeguato ad ospitare gli operatori di aviazione generale e i connessi servizi per l’utenza.
Perché la SEA – Aeroporti di Milano e gli azionisti della stessa, in particolare con il Comune di Milano detentore del 54,81 per cento del capitale, non provvedono? Ecco un altro caso di scuola di una municipalizzata cui farebbe molto bene una dose massiccia di mentalità di mercato.