Il buon pastore, suggeriva Svetonio nelle Vite dei Cesari, «deve tosare le pecore, non scorticarle». Un monito sempre attuale quando si parla di tasse, tanto più adesso, coi cittadini stretti fra l’incudine della crisi e il martello della pressione fiscale e migliaia di imprese in crisi di liquidità e in attesa che il governo in prorogatio sblocchi i pagamenti degli importi dovuti dalla pubblica amministrazione. Secondo stime di Unimpresa, sarebbero infatti 215.493 le imprese (il 4,9% del totale) che vantano crediti verso la pubblica amministrazione: l’importo medio, prendendo a riferimento i 90-91 miliardi di crediti stimato dalla Banca d’Italia, si aggirerebbe in 422.287 euro.
Talvolta, di troppa attesa si muore. A dirlo è il centro studi della Cgia di Mestre, secondo cui dall’inizio della crisi alla fine del 2012 circa 15mila imprese sarebbero fallite a causa dei ritardi dei pagamenti, con una allarmante perdita di almeno 60mila posti di lavoro. «Oltre ai ritardi nei pagamenti – ragiona il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – hanno sicuramente concorso alla chiusura di quelle attività gli effetti nefasti della crisi, come il calo del fatturato dovuto alla contrazione degli ordinativi, e il deciso aumento registrato in questi ultimi anni da imposte e contributi, oltre alla forte contrazione nell’erogazione del credito da parte degli istituti di credito nei confronti soprattutto delle piccole imprese».
Insomma, mentre attendono con ansia i crediti dallo Stato, gli imprenditori non possono a loro volta esimersi dal pagare stipendi e fornitori, né dal versare imposte e tributi nazionali e locali. In molti finiscono col perdere terreno accumulando cartelle esattoriali non pagate, che danno adito all’apertura di procedure di riscossione, affidate ad Equitalia, destinataria purtroppo di uno stillicidio di minacce e attentati che dura da due anni, ma anche di critiche civilissime di migliaia di cittadini e di proposte di abolizione annunciate da più partiti, nonché di una proposta di legge d’iniziativa popolare appena approdata in Parlamento grazie a 66mila firme (55mila delle quali in Sardegna). Il testo prevede di ridurre dal 9 al 2% l’aggio in favore di Equitalia, cancellare tutti gli oneri accessori, rivedere gli studi di settore e introdurre una moratoria dei pagamenti per un anno. Secondo il deputato del Pdl Mauro Pili, sarà la prima ad essere esaminata dalla commissione Finanze. Lo ha chiesto lui stesso alla presidente della Camera, Laura Boldrini: «Ci sono due proposte di legge convergenti, una parlamentare e una popolare», spiega Pili, originario della Sardegna, dove «sono fallite 2.351 imprese, che hanno lasciato inevaso un debito con lo Stato di un miliardo e duecento milioni di euro». Soldi, lamenta, «che lo Stato ha perso, facendo fallire quelle imprese per colpa di una riscossione vessatoria che moltiplica per due, tre o quattro il costo iniziale del debito». D’accordo con la riduzione dell’aggio si dice anche l’imprenditore Gianfranco Librandi, neo-deputato di Scelta civica: «Chiederò anch’io che la proposta di legge sia calendarizzata al più presto». Nell’attesa, va comunque registrato come la morsa delle procedure di recupero dei debiti verso il Fisco si sia leggermente allentata. Il dato arriva dalla relazione del ministero dell’Economia sulla riscossione, appena depositata in Parlamento, che indica riguardo al 2011 una riduzione del 5% dei ruoli confluiti in procedure cautelari ed esecutive: il valore complessivo di pignoramenti, fermi e ipoteche su immobili è sceso da 15,3 miliardi del 2010 a 11,1 dell’anno dopo; il numero delle ipoteche nello stesso periodo è precipitato da 135mila a 30mila, ossia meno 77%. Cionostante, rassicura il ministro Vittorio Grilli, sul versante degli incassi tutto va bene: «Si è passati dai 3,9 miliardi di euro del 2005 agli 8 del 2011, ossia più 120%». Ma, aggiunge, «con l’obiettivo di essere vicina ai debitori, mantenendo al contempo adeguati livelli di riscossione, Equitalia si è riorganizzata» per favorire l’eliminazione di «eventuali fattori di distonia gravosi per i contribuenti». In linea con la lezione di Svetonio, insomma, perché «scorticare le pecore» non conviene a nessuno.
Vincenzo R. Spagnolo
Articolo pubblicato dall’Avvenire.